Questo racconto è stato pubblicato su Il Giornale di Coreglia Antelminelli nel giugno 2010 -nella rubrica Angolo C- e inserito nel libro “Sotto un cielo di raso blu”, edito dal Comune di Coreglia Antelminelli.
Le note jazz uscivano molli dalla radio, la nebbia delle sigarette si mescolava con quella fuori, che avvolgeva le strade, lucide strisce di asfalto, ora grigie ora spalmate delle luci dei fari. Quanta nostalgia nel cuore, quanta tristezza si stringeva nel cappotto.
Quale nebbia vedevano i suoi occhi mentre folate d’aria riportavano alla memoria il profumo dei boschi umidi, come fosse lì, come l’Oceano fosse solo fiume… e vi si bagnava…ora…
I pomeriggi estivi invitavano all’Ania, tra i sassi bianchi e lucidi lo schiocco delle piccole onde regalava, da solo, frescura e pescare era come immergersi nella natura, guizzante ed immediata nelle sue sorprese.
I boschi che all’alba si svegliavano –“(Aurora)… ti sente e con gelido fremito destasi il bosco”,1 scriveva Carducci- partecipavano al sostentamento delle famiglie con generosità: i castagni, l’albero del pane, offrivano frutti ricostituenti e dolci con cui fare ballocci, mondine, necci e polenta con la sua farina; i funghi, fritti o usati nel sugo; il miele “soave… pel nero mio pane”2 diceva Pascoli, mentre Puccini –che nel 1910 debuttava al Metropolitan di New York con La Fanciulla del West- dava precise indicazioni culinarie da raffinato buongustaio.
Intanto matasse di nuvole graffiate dal vento, si sfilacciavano sotto il cielo blu, mentre il sole estivo batteva i lastrici in attesa della sera ed allora il focolare si spostava nelle aiette e, come Estia, congiungeva l’interno delle mura familiari con il sentimento della comunità.
“...Brutta la casa, sì ma era aperta”,3 aperto il nido con le donne che sulla sedia appoggiata all’uscio ricamavano o incrociavano i ferri e le chiacchiere, sommesse, sussurrate con le altre, con chi passava mentre si intrecciavano anche le vite parlando degli avvenimenti, delle attese, del ritorno.
L’aria della sera portava i profumi degli orti… “la mura c’ha piene le crepe di valeriane”2 … che si mescolavano con le note della fisarmonica ed allora si ballava in Piazza, in Piantaio, e si dimenticavano gli affanni.
In quei primi anni del ‘900 molti avevano lasciato l’antica madre3 e la loro vita girava vorticosamente come le ruote del Giro che aveva svegliato l’Italia, all’alba del 13 maggio 1909, facendola sentire più unita. Ed anche chi era lontano si sentiva unito a quel filo di fumo che scaldava la cucina, a quell’incanto di nebbia che saliva dal fiume verso il cielo; sapeva del gusto delle more occhieggianti dai cespugli, dei piccoli frutti che pendevano dagli alberi carichi, dell’acqua saporita, dell’ombra dei grandi platani che lo aspettavano in Piantaio.
Tutta Coreglia aspettava, certa che i Maestri Figurinai, partiti sull’impulso di ricercare nuove fortune, sarebbero tornati più forti, riportando nuove esperienze di culture diverse, a cui avevano donato un po’ della loro sapienza.
Il Castello, silente sul monte, serbava ogni attimo di vita ivi trascorso, pronto a restituirlo come ricordo, porgendolo nei momenti più cupi della lontananza, come vero cuore vigile.
…Sapeva, stringendosi di più nel cappotto, con la pioggia che gocciolava brillando sotto i lampioni, che altrove era lagrima che sgocciola dai fiocchi delle avellane e brilla nel cadere3 e che quel nido sarebbe sempre stato lì, anche solo per lui, ad aspettare.
Con un ultimo sguardo ripongo la statuina di gesso sulla madia, il cui custodito profumo di farine e spezie mi prende per mano ogni qualvolta viene liberato… c’è dell’acqua… non la asciugo: lo farà il primo raggio di sole del mattino.
1 Cit.: G. Carducci, All’aurora.
2 Cit.: G Pascoli, Nebbia – Canti di Castelvecchio.
3 Cit.: G. Pascoli, Italy.