Eccolo lì. Al centro del palco. Un uomo senza qualità. Un inetto. George Schneider. Uno scrittore irrealizzato. Intelligente, arguto. Sensibile. Un animo grigio come i vestiti che indossa o il divano in cui siede.
George è il protagonista della commedia di Neil Simon, "Capitolo due", messa in scena ieri sera, da Massimiliano Civica, al Teatro Alfieri di Castelnuovo di Garfagnana. Una radiografia perfetta dell'uomo moderno. Con tutte le sue insicurezze e le sue nevrosi. Con il suo bagaglio sterminato di dubbi. Di esitazioni.
Il "capitolo uno" della sua vita è stato segnato da un evento traumatico. Un lutto invalidante: la morte dell'amata moglie. Barbara. Un nome che diventa, ben presto, un'ossessione. Una presenza ingombrante nel suo presente. Dodici anni di matrimonio con i quali fare i conti. Una simbiosi recisa.
George ha un fratello che gli vuole bene. Leo. Un'altra maschera della società post-industriale. Leo, al contrario di George, veste colori sgargianti. Emotivamente è piatto. Cinico. Ma ha un aspetto che lo salva: l'ironia. È sarcastico. Sono molto uniti lui e George. L'uno fa da mamma all'altro, l'altro da padre al primo. Sono come orfani di una generazione evaporata.
Sul palco, però, ci sono due divani. Non uno. Quello grigio confina con quello giallo di Jenny e Faye. Due donne in carriera, emancipate e, puntualmente, sole. Rigide. Frigide. Molto cerebrali. All'impeto della passione preferiscono il razionale logorrio di chi scruta a fondo l'altro sesso. Non a caso sono due attrici. Recitano il loro ruolo di individui indipendenti.
Un filo misterioso, quello della cornetta, crea un ponte tra questi due mondi, apparentemente, divisi da una distanza incolmabile. L'approccio goffo tra le due coppie suscita, nello spettatore, amare risate. L'incomunicabilità permea l'emisfero dei loro sentimenti. La solitudine è enfatizzata dal silenzio assordante che regna nello spazio chiuso, asfissiante, delle due stanze. I soli rumori sono i cacofonici driiin e i peeeee di telefono e citofono.
Alla fine, però, una musica - confusa anche lei - si insinua in questo afono destino. Io vorrei... Non vorrei... Ma se vuoi... Una stretta di mano che supera la parete invisibile che separa George da Jenny. L'agognato lieto fine che è anche un messaggio di speranza affinché si possa ritrovare quell'umanità perduta nel robotico meccanismo della civiltà performante che ha mercificato tutto. Anche l'amore.
Foto di Tommaso Teora
"Capitolo due", qui non è Hollywood: la nevrosi dell'uomo moderno al Teatro Alfieri
Scritto da andrea cosimini
Castelnuovo
09 Febbraio 2025
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