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Scritto da cinzia troili
l'espresso delle 11.15
02 Maggio 2025

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Quando sulla costa francese soffia il mistral, dagli alberi maestri delle imbarcazioni ormeggiate si ode una musica che incanta, arpa nostalgicamente suonata. Il vento può raccontare mille storie, avvicinare i luoghi come la variopinta processione di anime, umane e di gesso, che sin dalla fine del 1600 peregrinava, prima in Europa e poi, nell’800, sino alle Americhe ed in Australia, per vendere di Paese in Paese le statuine di gesso.

Storie di uomini che si sono allontanati da generazioni, partenze che, secoli fa, costrinsero ad una petizione a Lucca poiché “assai era ristrinto il numero dei soggetti abili al Governo”.1

E ritorni, dopo aver realizzato piccole fortune.

I Figurinai, col loro spirito avventuriero ed indipendente, affascinarono i poeti: “gentil errabondo, tu sai qual eri nel tuo giorno: ancora sai tutte le vie del mondo … non sai più quella del ritorno2 e diffusero la nostra cultura. Così dagli animali inizialmente riprodotti – bellissimi i gatti del ‘700 anneriti col nerofumo di candela - passarono al mondo politico, culturale, al teatro, alle Accademie, senza dimenticare i boccaletti, piccoli oggetti di casa che parlavano di (ed alla) gente comune, per giungere alle raffigurazioni sacre ed ai presepi.

A lato della Torre Campanaria, nella Piazzetta Pisani, che pare un piccolo salotto in pietra, vi è, quasi timida, una statua: un figurista col suo gatto. Sotto si legge: “…Allora baci tanto Mamma a Coreglia dell’Antelminelli”. Poco più avanti, al n. 17, si trova il Museo Civico che di quell’esodo contiene le orme, custodendo una parte di storia umana: piccole o grandi, queste manifatture artistiche del gesso del XIX secolo, si svegliano per magia quando il visitatore le incontra e parlano sì di nostalgie, di stenti, di avventure e di dolori che però, in perfetto stile romantico, hanno ritrovato l’abbraccio dei propri cari e del Paese, di Coreglia.

I Figurinai tornavano portando con sé nuove esperienze e nuove ricchezze, girovaghi leggendari rappresentati da quella statua che sa di favola. Quell’uomo dal suo piedistallo guarda il passante e, come il Principe Felice di Oscar Wilde, pare parlargli di gesta d’amore, di storie di altri tempi poiché se anche sul pioppo non picchia più il pennato, né l’eco gli risponde…3 ben altri echi di insegnamenti sono giunti sino a noi.

Non è un caso, forse, che il figurinaio abbia per ultimo dedicato la sua attenzione al presepe, al luogo dell’anima che parla della famiglia. Se distolgo lo sguardo dalla statua e mi volto, ancora vedo il Nonno, seduto al Caffè Vanni, che mi fa cenno con la mano, mentre la Nonna è poco più in là: spunta dalla salita di Via Antelminelli e si ferma, cercando qualcuno con lo sguardo, pronta a salutare tutti. Anche questa immagine, che il mio cuore ha fermato, sa di presepe, sa di Coreglia. In questo Borgo ci sono le più poliedriche forme dell’affettività.

Soffia il mistral, cantano sommessi gli alberi maestri, portano voci di echi lontani che conoscono gli uomini, da sempre. 

Questo racconto è stato pubblicato su Il Giornale di Coreglia Antelminelli nel giugno 2008 - nella rubrica Angolo C - e inserito nel libro “Sotto un cielo di raso blu”, edito dal Comune di Coreglia Antelminelli.

1 Cit.: Istanza a Lucca, 12 aprile 1774.

2 Cit.: G. Pascoli, Gli eroi del Sempione – Odi e Inni.

3 Cit.: G. Pascoli, Il ritorno delle bestie – Canti di Castelvecchio.

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