Billie Holiday e Mia Martini, due voci indimenticabili, due donne segnate dal talento e dal dolore, ciascuna con un legame particolare con l’Inghilterra.
Ci sono voci che non hanno bisogno di presentazioni, che si attaccano all’anima. Non perché siano famose, ma perché ti entrano dentro — e restano. Che raccontano la bellezza, la rabbia, il margine. Due anime sonore, segnate da destini simili hanno attraversato oceano e tempo, lasciando la loro impronta — per quanto fugace — su suolo britannico: Billie Holiday e Mia Martini.
Billie, la “Lady Day” d’America, atterrò a Londra nel 1954. Si esibì, in un’unica data al Royal Albert Hall, dove incantò un pubblico perplesso ma curioso. La stampa britannica non fu clemente, eppure lei, con indosso una pelliccia bianca e la sua inconfondibile gardenia tra i capelli, cantò come se fosse a casa. In un momento difficile della sua carriera, Londra fu una parentesi inaspettata: il pubblico la ascoltò con rispetto, la trattò come un’artista, e lei rispose con emozione cruda, autentica. Nei giorni successivi Billie girò la città con passo lento tra club, locali jazz, un po’ di shopping e lunghi sorsi di brandy con Cointreau. Guardava Londra con occhi pieni di malinconia. In un’intervista disse: “Qui mi chiamano artista, non solo cantante. Voglio restare.”
Negli anni ’70, decenni dopo, un’altra voce era in cerca di ossigeno e attraversava l’Europa per trovare ascolto: Mia Martini.
Per sfuggire alle maldicenze e sussurri dell’Italia e ai suoi pregiudizi, Mia si rifugiò proprio in Inghilterra, in un periodo in cui cercava nuova linfa, nuovi suoni, e — soprattutto — un nuovo sguardo su se stessa. A Londra scrisse, cercò, ascoltò, spesso in silenzio. Non un’esibizione, non era ancora "la Mimì dei grandi palchi", ma una ragazza ferita che cercava spazio tra le pieghe del soul e del rock inglese. Era una Mimì più fragile, lontana dai riflettori, ma determinata a ricominciare. Non ha mai inciso un disco in inglese, ma chi l’ha incontrata in quegli anni la ricorda con affetto, taccuino alla mano e occhi curiosi.
Due donne, due viaggi. Entrambe amate e poi bruciate, entrambe legate a una terra — l’Inghilterra — che per un attimo concesse respiro. Voci come le loro non si ascoltano soltanto: si attraversano.
Holiday cantava Strange Fruit : ogni parola pesava un secolo. Martini urlava silenziosamente con Almeno tu nell’universo, ed era impossibile non cedere. Londra ha custodito per poco le loro presenze, ma abbastanza da lasciarsi contaminare. A volte, nei club di Soho o tra le strade grigie di Camden, si ha ancora l’impressione che quelle voci non siano mai andate via.
E c’è una cosa che, ripensando alle loro storie, non riesco a togliermi dalla testa. Da amante di Sliding Doors, mi chiedo: e se le loro vite si fossero incrociate davvero? Se Billie e Mia si fossero incontrate in una Londra notturna, in un locale qualsiasi — una a cantare, l’altra ad ascoltare — forse non sarebbe cambiato il destino, ma per un attimo avrebbero trovato sollievo l’una nell’altra. Magari si sarebbero capite. Magari si sarebbero supportate.
Non è successo, ma io le vedo. Due bicchieri, due voci, un istante sospeso. E tanto basta.
"E io, in fondo alla sala, con una tazza di tè tra le mani, resto lì ad ascoltare."
Alla prossima,
T&R
In copertina una pirografia in legno realizzata da Josette "Josy" Sedami Agbo
Josette Sedami Agbo
"Mi chiamo Josette Sedami Agbo, Josy, e sono originaria del Benin. Per molti anni ho vissuto ed ho lavorato in Valle del Serchio. Un anno e mezzo fa mi sono trasferita a Londra assieme al mio compagno, Marco, di Pieve Fosciana. Sono appassionata di viaggi, musica e cucina. Mi piace l'arte: oltre a frequentare mostre, mi diletto nel realizzare quadri con la tecnica della pirografia. Sono una persona sensibile, curiosa e creativa. Parlo, oltre all'italiano, anche il fon - ovvero la lingua del mio paese di origine -, l'inglese e il francese. Su La Gazzetta del Serchio ho già curato la rubrica "Scusi, posso assaggiare?".